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AI Pact: Supporto alle Imprese offerto dalla Commissione UE

Fonte:pmi.it • gen 22, 2024

Le aziende interessate all'Intelligenza Artificiale possono ottenere dalla UE pareri di compliance con l'AI Act: ce ne parla Giuseppe Vaciago.

«L’AI Pact nasce come una proposta della Commissione UE per favorire l’applicazione anticipata dell’AI Act». Giuseppe Vaciago, partner di 42 Law Firm, spiega così la ratio dell’iniziativa approvata nel novembre scorso e rivolta alle imprese che stanno sperimentando soluzioni di intelligenza artificiale oppure programmano di investirvi.


In pratica, sintetizza Vaciago, è un’iniziativa che «favorisce l’applicazione anticipata dell’AI Act». Bruxelles, infatti si propone come interlocutore per le aziende interessate, che possono così ottenere indicazioni sulla conformità con l’AI Act. Ma in che senso?


A cosa serve l’AI Pact

La legge europea sull’Intelligenza Artificiale, su cui è stato trovato l’accordo a Bruxelles nel dicembre scorso, regola una tecnologia altamente innovativa e ancora relativamente poco conosciuta. La normativa prevede diversi livelli di rischio sottostanti alle applicazioni di AI, in base ai quali si definiscono poi i relativi  obblighi di legge. Un’applicazione ad alto rischio necessita di una valutazione preventiva di impatto di tipo etico e legale per i cittadini e un continuo monitoraggio; uno a basso rischio richiede solo un’adeguata informazione all’utente; quelle ad altissimo rischio non si possono immettere sul mercato.


«Prendiamo l’esempio di un imprenditore che ha deciso di fondare una startup e si sta interrogando sulla validità o meno di alcuni progetti ai sensi dell’AI Act. Per avere certezze, dovrebbe aspettare l’entrata in vigore», che è scaglionata: a secondo delle applicazioni, sei mesi, un anno o due anni.


Confronto diretto con la UE

L’AI Pact «vuole creare una community di aziende interessate a confrontarsi sull’applicazione dell’IA. Con l’adesione, invece che rimanere nel dubbio su cosa si può e cosa non si può fare, si cerca di avere un dialogo diretto con Bruxelles».

Si tratta di un’opzione utile proprio perché l’AI Act si basa sul concetto di rischio. «I quattro livelli di rischio previsti (molto alto, alto, medio e basso, ndr) individuano gli obblighi relativi a ciascuna categorizzazione. Ma non c’è scritto qual’è il livello di rischio di ogni singola applicazione».


Che valore ha il parere della Commissione UE

Il parere fornito ai partecipanti ai membri della community aderenti all’Ai Pact non è vincolante.

E’ una sorta di interpretazione prima dell’entrata in vigore, che va presa come un’indicazione sul livello di rischio previsto da una normativa molto complessa, in modo da poter orientare decisioni commerciali di business prima del tempo.

E’ vero che il parere si può chiedere anche a un professionista, per esempio un avvocato, ma «se lo desse direttamente l’autorità acquisterebbe più valore».


Come si aderisce all’AI Pact

Le aziende interessate ad aderire devono inviare la propria manifestazione di interesse a Bruxelles. Sul portale della Commissione UE c’è un apposito form da compilare.

«Nel primo semestre vengono raccolte le adesioni. Ho il timore che alcuni paesi – penso a Italia, Spagna, Portogallo ed anche Grecia – registrino però uno scarso interesse verso questo strumento. E’ un po’ una tradizione nostra quella di essere riservati da questo punto di vista, in quanto non c’è una consapevolezza del fatto che l’anticipatory compliance possa favorire il business. Mentre notiamo già che da Nord Europa sta arrivando un maggior numero di adesioni».


Considerazioni sull’AI Act

Nel frattempo, fra febbraio e marzo è prevista l’approvazione definitiva dell’AI Act, che è fondamentalmente la prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale (ci sono regolamenti, atti di indirizzo, documenti di consultazione, ma quella che sta per essere approvata dall’Europa è una vera e propria legge).


Pro e contro di una legge UE sull’Intelligenza Artificiale

C’è stato da parte di Bruxelles un eccesso regolatorio?

«Solo il tempo ci dirà se questo approccio, sicuramente votato a regolamenti molto serrati, sarà o meno adeguato. Ricordo che ci furono le stesse critiche anche sul GDPR, poi invece anche Usa, Brasile e Cina hanno introdotto normative simili perché hanno riconosciuto quanto fosse importante proteggere la privacy».

E’ vero che in questo caso l’operazione normativa è diversa.

Il GDPR regolamenta un diritto fondamentale a fronte della diffusione delle tecnologie, mentre «devo riconoscere che qualche perplessità in più sull’AI Act c’è: la protezione dei dati è trasversale a ogni strumento, qui si parla di una tecnologia. E se viene regolamentata in un modo diverso in altri paesi, può sviluppare criticità. Faccio un esempio: se in un paese non possono circolare autoveicoli con cilindrata superiore a 500 e nel mondo il limite è 5mila, avremo una regola che crea problemi all’espansione del mercato europeo. E’ vero che una macchina a 80 all’ora è più sicura, ma il rischio di effetto negativo sul mercato esiste».

Ora, «se interveniamo non su un diritto (come nel caso della privacy) ma su una tecnologia (l’IA), un eccesso di regolamentazione potrebbe avere effetti negativi sul mercato».

D’altra parte, siamo anche davanti a «una tecnologia rivoluzionaria, e quindi da questo punto di vista è corretto che venga regolamentata».


L’impatto sulle PMI

E’ una tecnologia a portata di piccole e medie imprese? «Con Chat Gpt l’AI è diventata alla portata di tutti. Prima aveva costi di implementazione elevati. Open AI offre invece potenza di calcolo a cifre abbordabili: con 20-30 euro al mese consente di sviluppare progetti interessanti. In prevalenza nel settore dei servizi».

Ci sono anche numerosi bandi per le imprese, per esempio CrescerAI in scadenza il 31 gennaio: promuove l’esportazione dell’Intelligenza Artificiale e la possibilità di usarla per il Made in Italy. Stanno nascendo anche tante startup nel Legal Tech, ricorda Vaciago, ma anche in altri ambiti, che sfruttano l’AI generativa per nuovi prodotti.

Per le imprese c’è anche il tema dell’impatto sull’organizzazione del lavoro e sui livelli occupazionali.

Ci sono timori di perdita di posti e di eliminazione di alcune mansioni. E visioni più ottimistiche sul fatto che lo strumento potenzierà, senza sostituire. In questo senso, «è importante lavorare sul reskilling e sulle nuove competenze dei giovani».

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